Pasqua è tempo di rinascita. Della notte che lascia posto all’alba.
E tale certezza non sarebbe venuta meno neanche con la Guerra alle porte.
Al primo sole, l’odore della lavanda selvatica, colta l’altro ieri su per Monserrato, scivolò dalla cassettiera del “canterale” e avvolse coperte, federe e cuscini. L’effluvio irruppe nella sala da pranzo e là cercò gratificazione nella prozia vedova seduta innanzi alla finestra con un libro chiuso tra le mani: da ceca sapeva leggere solo con la mente.
Pasqua era alle porte e le tre campane del Carmine annunciavano la prima messa de Le Palme, celebrata da quell’omaccione di padre Ottaviano, cappellano del Forte, “correttore spirituale” d’ergastolani e ladri di galline.
Il golfo di Portolongone era splendente: onde rutilanti e brezza leggera ne increspavano la “soglia”.
Sette bastimenti in attesa della partenza riuscirono a disperdere nel paese un’accozzaglia di marinai.
Sette bastimenti in attesa della partenza riuscirono a disperdere nel paese un’accozzaglia di marinai.
Verso sera i contadini avevan già legato all’albero un ramoscello benedetto: porta bene, dicevano. Ne erano convinti, fieramente convinti.
L’incandescenza dei riti avrebbe poi seguito un fitto calendario d’impegni: il Giovedì Santo, la corsa in Chiesina con il vaso più bello per adornare il Sepolcro. Il Venerdì, al buio, con fiaccole e lampioni, in processione a seguire il Cristo e un’Addolorata che pareva muoversi davvero, protetta dal suo manto di tulle corvino e dalle giovani “priore”. E poi la banda, colonna sonora d’altri tempi, d’un rito che aleggia tra fascino e mistero, tra la vita e la morte.
Il silenzio del Sabato sarebbe durato poco, fino a mezzogiorno: già, si cantava la Risurrezione con dodici ore d’anticipo!
A Pasqua la (mia) famiglia si strinse a tavola con le pietanze migliori, quelle cucinate all’alba, con l’olio conservato (manco fosse un cimelio) da almeno tre mesi. L’aroma d’in corollo fuggì per i “cranchioni”, s’incrociò con altri, in un atto d’amore generoso e spietato. Era festa, festa per tutti. E al bambino che aveva recitato a memoria la poesia studiata all’Istituto di Via Cerboni, un uovo benedetto per ricompensa. Altro che cioccolata!
Ora quei genitori incontrati nel racconto dell’Epifania son grandi: lui 74, lei 62. Due nonni che di lì a un anno avrebbero visto partire per la Guerra il nipote più piccolo. Per poi perderlo… a causa di una stranissima malattia. Fu l’ultima Pasqua assieme. Non lo sapevano. E visto che quei saluti non han colore, belli come pochi mangiarono sorridenti briciole e mozziconi di felicità.