Spesso tentiamo di spiegare a parole situazioni, stati d’animo, emozioni che con le parole non hanno nulla a che fare, non ci sono parole che possano descrivere cose che si trovano su piano differenti: “The star rover” questo il titolo originale dell’opera “Il vagabondo delle stelle” di Jack London si posiziona all’interno di uno spazio letterario che non può essere commentato e descritto e ogni tentativo rischia di apparire banale o inutile; Jack London ci ha sempre abituato ad una scrittura contemplativa i suoi romanzi di avventura ci riportano a luoghi e atmosfere lontane. In questo romanzo del 1915, ultimo ad essere pubblicato in vita dallo scrittore californiano, si narrano le vicende di un professore universitario, Darrell Standing, detenuto nel carcere di San Quintino, che negli ultimi tre giorni della sua vita scrive le sue memorie, racconti di “viaggi” che egli vive durante la sua segregazione nella cella di isolamento, sottoposto a torture e alla punizione della camicia di forza. In questo periodo di solitudine e sofferenza fa la conoscenza di altri due detenuti con i quali comunica battendo le nocche delle dita sulle pareti della cella usando un codice segreto comune: da qui si alternano vicende accadute in carcere, dialoghi con i compagni di sventura, storie di “vite passate”, reincarnazioni dello spirito dello stesso Standing. Il protagonista in tal modo non solo riesce così a sopportare privazioni e torture ma riesce ad uscire, idealmente, dal suo corpo, dalla cella e dalle mura del carcere. London ci cala in queste storie padroneggiando da maestro diversi stili e registri narrativi, in un mix si leggenda, realtà e finzione.
“Come avviene per qualsiasi essere vivente, anch’io sono il risultato di un processo di crescita: non ho avuto inizio quando sono nato o addirittura quando sono stato concepito. La mia crescita e il mio sviluppo sono l’esito di un numero incalcolabile di millenni. Tutte le esperienze fatte nel corso di queste e infinite altre esistenze hanno per gradi dato forma a quell’insieme che è il mio io. La materia non ricorda ma lo spirito si: Ed il mio spirito altro non è che la memoria delle mie infinite incarnazioni (…)”
Parola di libraia
Silvia