Ci sono delle persone che cambiano il corso della tua vita o almeno (senza farla così pesante) lo indirizzano e Giorgio Sanguinetti una bella sterzata me l’ha data, visto che ancora oggi mi ritrovo su quella strada. Se sono arrivato alla soglia dei trent’anni di banca, che è la maggioranza della mia vita trascorsa su questo pianeta, e con una mia maniera di essere, è perché allo start di quel percorso lavorativo ho trovato lui in compartecipazione con Falleni Massimo, una coppia di nulla, una società fantastica. A gennaio del 1992 entrai in banca, un lavoro ambito al tempo, 20 anni compiuti da pochi mesi, in testa mille idee e il ruolo di bancario o meglio l’aspetto che mi ero idealizzato di quella figura non rientrava nelle mie prerogative. Ero cresciuto dentro gli uffici di un commercialista fin da quindicenne durante le stagioni estive (mica al bar, Federico il barista Regini è una bufala) fino a restarci finita ragioneria, ma giocavo in casa, mi lasciavano esprimere diciamo; capelli lunghi e vestito alla come mi andava, non ero un impiegato, mi convincevo di questo (non che ce l’avessi con gli impiegati, ma era come un’uggia, un sentirsi fuori posto).
Insomma il primo giorno di lavoro, dopo il corso di avviamento in sede a Livorno, entrai tutto rassettato in giacca e cravatta alla mitica filiale di Mola, dove mi accolse il Direttore, Giorgio Sanguinetti. Lo ricordo in maniera nitida (impossibile dimenticarlo) nonostante fosse avvolto dal fumo della sigaretta che appesantiva l’ufficio. In mezzo alla nebbia c’era lui, mi squadrava attraverso quegli occhiali con le lenti scure e un occhio che andava da una parte, così che non capivo quando mi stesse guardando.
“Regini… uhm… Regini Federico… ma sei il figliolo di Tatoli?” Tatoli era il soprannome di mio babbo, a Rio Marina tutti hanno un soprannome ed è al di sopra del nome, si riconoscono da quello.
“Si… “, risposi timidamente. “Ti abbiamo rotto i coglioni per caso?” (stessa cosa che mi chiese il capo del personale)
“In che senso?” “Mettiti seduto, sei li tutto intirizzito, mi avevano detto che avevamo assunto un capellone con una chiacchera che ammazza e mi trovo uno col ciuffetto e muto, ma sei te?”
Ero già più rilassato, “Mi sono tagliato i capelli, insomma mi hanno detto che in banca… insomma…” “O che sei militare che ti devi tagliare i capelli, hai sentito Massimino? Si è tagliato i capelli per venire in banca… ” e si fece una risata bella piena.
“De ho sentito”, rispose una voce dall’altra stanza e doveva essere di questo Massimino.
Dette un’aspirata alla sigaretta con filtro e riprese “comunque qui ci sono poche regole da seguire. Primo, al lavoro ti devi fare un culo come un’aia, non voglio sentire piagnistei, ritieniti fortunato di essere in banca così giovane. Secondo, tutto quello che senti, fai e vedi qui dentro quando arrivi a casa te ne devi scordare. Ogni cosa detta è come in un confessionale, ricordatelo perché alla prima cazzata te lo sradico (facendo il movimento della mano di quando strappi con vemenza un ramoscello, una sofferenza al solo pensiero). Hai capito?” “Si ho capito, me lo sdradica?! se parlo?! Quindi posso rifarmi crescere i capelli? Non è un problema?”, dovevo per forza dire qualcosa, anche se era meglio stessi zitto.
“Massimino questo l’hanno preso dal catalogo te lo dico io… per quello l’hanno mandato qui” Questa l’ho capita in seguito, frequentandolo, ed era un messaggio in codice.
“Terzo, Sabato sera si va a cena, paghi te perché sei stato assunto, poi la paghi dopo il terzo mese per le note positive (periodo di prova) e paghi ogni volta che per i primi due mesi fai un errore di cassa e te lo dobbiamo trovare… Vero Massimino?”
“Vero! mandamelo di qua”. Andai di là, c’era Katia che avrei dovuto sostituire appena pronto, mi guardava con tenerezza “Giorgio è una pasta d’uomo” e poco più avanti Massimo Falleni, il vice direttore tutto fare. I primi due stipendi li spesi quasi tutti in cene, la cassa non tornava spesso al primo colpo, ma proprio il frequentarsi fuori lavoro faceva nascere un rapporto di amicizia e di rispetto e mi hanno fatto capire e dimostrato che in quel ruolo ci potevo stare tranquillamente con la mia personalità (seguendo però sempre quelle due regole, la terza l’ho arginata), perché come amava cantare Giorgio “l’ho fatto alla mia maniera”. Da quel momento con questi due ci sono stato insieme 6 anni a Mola e altri anni su filiali diverse e in tempi differenti, ma soprattutto ci sono stato in ambito non lavorativo; c’erano in molte delle scelte per me importanti che ho fatto, ognuno a suo modo, e me li tengo stretti.
Giorgio è come una figura paterna e Massimo è come una figura fraterna, ogni momento passato insieme combacia con qualcosa di positivo anche quando c’era dello storto nell’aria.
Oggi con il pensiero doloroso di Giorgio, perché il dolore c’è e parecchio, inutile negarlo o provare a nasconderlo nelle parole di un piccolo ricordo narrato, ne ritrovo un altro altrettanto doloroso (lo ricordavamo sempre con Giorgio), non riesco a scinderli, eravamo in tre a Mola e tre era il numero perfetto.
“My Way”
E ora la fine è vicina
E quindi affronto l’ultimo sipario
Amico mio, lo dirò chiaramente
Ti dico qual è la mia situazione, della quale sono certo
Ho vissuto una vita piena
Ho viaggiato su tutte le strade
Ma più, molto più di questo, l’ho fatto alla mia maniera
Rimpianti, ne ho avuto qualcuno
Ma ancora, troppo pochi per citarli
Ho fatto quello che dovevo fare
Ho visto tutto senza risparmiarmi nulla
Ho programmato ogni percorso
Ogni passo attento
lungo la strada
Ma più, molto più di questo, l’ho fatto alla mia maniera
Sì, ci sono state volte, sono sicuro lo hai saputo
Ho ingoiato più di quello che potessi masticare*
Ma attraverso tutto questo, quando c’era un dubbio
Ho mangiato e poi sputato
Ho affrontato tutto e sono rimasto in piedi e l’ho fatto alla mia maniera
Ho amato, ho riso e pianto
Ho avuto le mie soddisfazioni, la mia dose di sconfitte
E allora, mentre le lacrime si fermano, trovo tutto molto divertente
A pensare che ho fatto tutto questo;
E se posso dirlo — non sotto tono
“No, oh non io, l’ho fatto alla mia maniera”
Cos’è un uomo, che cos’ha?
Se non se stesso, allora non ha niente
Per dire le cose che davvero sente
E non le parole di uno che si inginocchia
La storia mostra che le ho prese
E l’ho fatto alla mia maniera
Sì, alla mia maniera
U