Novembre, stagione dei morti. Perlomeno dal 998, a Cluny, in Borgogna.
Novembre, stagione della memoria, forse non da sempre ma oggi più che mai; e proprio perché della memoria, s’affaccia di nuovo quel ricordo immortalato in una fotografia sepolta nella cassettiera del nonno. Sfuggita al tempo e agli sguardi. Com’eran lunghe le file dritte a San Cerbone, com’era tenue il vocio vergognoso che si perdeva nei campi, germogliando tra la guazza mattutina e il fogliame increspato che scaldava, a mo’ di lenzuolo, la terra (viva) in cui riposava il morto. Le orazioni del sacerdote, ormai vecchio e al declino, ruppero il silenzio. La bonaccia dei cipressi finì coll’accompagnare il rito. Quando pure i figlioli sapevano ascoltare, quando non sarebbe stata la parola “defunto” a far impressione. E là davanti, tra marmi infangati e croci ingiallite, in un confronto senza eguali, lo spirito cresceva, e cresceva assieme alla consapevolezza e alla sensazione (direi quasi fisica) che i morti c’avessero lasciato qualcosa più d’un semplice ricordo: le nostre radici.
In paese, dal Notarelli, la corsa per i crisantemi. Il “De profundis”, al vespro, scortò babbo, mamma e prole sino a casa; l’indomani suor Vincenza avrebbe interrogato e la poesia di Pascoli — che tanto sa di scuola — guai a biascicarla: lunga e tutta a memoria! Al mattino non una virgola fuori posto; tre noci, per ricompensa!
Novembre è un viaggio, un viaggio nel tempo, nelle stagioni della vita che scorre.
Quasi rivedo la mia classe, il fumo gelato a mezz’aria, quella “nebbia agl’irti colli” e quel “giorno pieno di lampi”; sento di nuovo Carla interrogarci uno ad uno e pretendere il meglio nell’interpretazione. Ore lontane ma voci definite.
Novembre, dunque, si (e ci) contraddistingue. Egli stesso è contraddittorio: si pensi al piacere per la racconta nei boschi (sebbene di funghi, quest’anno, manco l’ombra) e alla malinconia in agguato per la spoliazione degl’alberi e dei cieli. Eppure, questo “venir meno”, attraverso il fuoco dei camini, portava di nuovo l’intimità, lo stare in famiglia. Sarebbe bastata una minestra di cicerchie, pane raffermo e del vino (senza etichetta) per infiammare l’alchemica voluttà della fantasia, di novelle raccontante con voce saggia e d’una luce estinta allo scampanio dell’Or di Notte; il Carosello (anche in TV)… cosa per pochi!
E la fede? La miseria non l’aveva indurita; era solo più ruvida, solitaria, mai assente.
Novembre è l’occasione per riscoprirla, per riscoprire sé stessi attraverso l’abbraccio del passato.
Rifiorire nelľ “estate fredda dei morti” non è poi cosa da tutti!
Fabrizio Grazioso