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Audace Calcio e Vino nero: Storia di tifo, calcio e goliardia

L’Audace, dall’alto dei suoi 120 anni di sto­ria, può van­ta­re un sac­co di cose, tra cui anche il fat­to di ave­re un inno uffi­cia­le.
La can­zo­ne, inti­to­la­ta “Auda­ce vino nero” fu rea­liz­za­ta da Ste­fa­no Tan­ghet­ti nel­la pri­ma­ve­ra del 2008, duran­te il cam­pio­na­to di 2^ cate­go­ria, in segui­to vin­to, dal­la squa­dra por­to­fer­ra­ie­se alle­na­ta da Leo Lupi.
Gli fu com­mis­sio­na­ta da un gio­ca­to­re dell’epoca, Loren­zo Fran­gio­ni, il qua­le chie­se espli­ci­ta­men­te un inno brio­so che, tra le altre cose, dove­va dare atto che gio­cas­se­ro in cam­bio di piz­za e bir­ra (sen­za limi­ti in caso di vit­to­ria), dal momen­to che non era­no sti­pen­dia­ti, nono­stan­te fos­se­ro i più for­ti gio­ca­to­ri elba­ni di quel perio­do.
Per fare un esem­pio: una vol­ta, a par­ti­ta in cor­so, a gio­co fer­mo un difen­so­re avver­sa­rio doman­dò al cen­tra­van­ti bian­co­ros­so Ric­car­do Mame­li: “Ma voi quan­to pren­de­te?”. La rispo­sta lo lasciò basi­to: “Quel­lo che piglia di più la piz­za glie­la por­ta­no con wur­stel e cipol­le!”.
Tor­nan­do alla can­zo­ne, il Tan­ghet­ti accet­tò di buon gra­do: ripre­se il vec­chio gri­do da cur­va “AUDACE VINO NERO” e ci scris­se intor­no il testo di quel­lo che sareb­be diven­ta­to l’inno.
Insie­me a un suo col­la­bo­ra­to­re (Andrea Fer­ro) inci­se­ro la pri­ma ver­sio­ne per far­la ascol­ta­re e impa­ra­re a memo­ria ai gio­ca­to­ri e poi, ispi­ran­do­si all’in­no del­l’In­ter can­ta­to dal­la squa­dra, por­ta­ro­no l’at­trez­za­tu­ra da regi­stra­zio­ne al Rifrul­lo per una di quel­le cene: i gio­ca­to­ri can­ta­ro­no una stro­fa cia­scu­no e il coro in grup­po.
Le voci fuo­ri cam­po sono di Ema­nue­le Scel­za, che imi­ta­va gli urli dei vec­chiet­ti che tut­ti noi abbia­mo sen­ti­to al cam­po spor­ti­vo duran­te le par­ti­te del­l’Au­da­ce.
Que­sto il link per l’ascolto.

Ma andia­mo a ritro­so nel tem­po per sco­pri­re dove e come nasce il mot­to ori­gi­na­le “AUDACE VINO NERO”.
Al gior­no d’oggi col tele­fo­ni­no ci si fa vera­men­te di tut­to, ma cin­quan­ta e pas­sa anni fa scat­ta­re una foto­gra­fia era un even­to raro, anche per­ché non tut­ti pos­se­de­va­no una mac­chi­na foto­gra­fi­ca e qua­si nes­su­no se la por­ta­va die­tro.
A ini­zio anni Set­tan­ta fu deci­so di scat­ta­re una foto a un per­so­nag­gio, un indi­scus­so pez­zo da novan­ta, rino­ma­to soprat­tut­to per la sua gran­de pas­sio­ne: trin­ca­re. Sem­pre e dovun­que.
Tro­var­lo sobrio era un’impresa pres­so­ché impos­si­bi­le, così un gior­no il col­le­gio dei pro­bi­vi­ri deli­be­rò che cotan­to splen­do­re anda­va immor­ta­la­to, all’ora di pun­ta per l’aggiunta, quan­do cioè la sbron­za toc­ca­va il pic­co mas­si­mo.
Il lasci­to per i poste­ri dove­va esse­re ine­qui­vo­ca­bi­le, cri­stal­li­no.
Furo­no oltre­pas­sa­te le inten­zio­ni e lo scat­to che ne con­se­guì fu magi­co: il per­so­nag­gio in que­stio­ne, con­cia­to per le feste, ave­va, come da pras­si, il viso avvam­pa­to di un colo­ri­to ros­so por­po­ra e sta­va riden­do sgua­ia­ta­men­te col capo rivol­to leg­ger­men­te all’indietro, mostran­do pari­men­ti la sua mae­sto­sa arca­ta den­ta­le: il cani­no supe­rio­re di destra, l’altro di sini­stra e stop.
Era pra­ti­ca­men­te sden­ta­to, e le fia­ta­te eti­li­che da man­gia­fuo­co che lan­cia­va, sen­za nem­me­no il fil­tro dei den­ti ad atte­nua­re un pochi­no il col­po, era­no leta­li.
Non sarà sta­ta quel­la una foto da pre­mio Puli­tzer, ci man­che­reb­be, ma for­se a Por­to­fer­ra­io, per il peso spe­ci­fi­co assun­to, in un cer­to sen­so vale­va anche di più.
Quel­la foto, quin­di, dopo esse­re sta­ta svi­lup­pa­ta, ven­ne ingran­di­ta e appe­sa al muro di un posto dal for­tis­si­mo, all’epoca, valo­re sim­bo­li­co: il Bar Sport.
Due pic­co­li aned­do­ti per ren­de­re l’idea di quan­to il Bar Sport fos­se la cul­la del tifo bian­co­ros­so.
1 — Nel tar­do pome­rig­gio del vener­dì, al ter­mi­ne dell’ultimo alle­na­men­to set­ti­ma­na­le del­la pri­ma squa­dra dell’Audace, quan­do la socie­tà dira­ma­va l’elenco dei con­vo­ca­ti per la par­ti­ta, il foglio non veni­va affis­so nel­la sede al Car­bu­ro, ma diret­ta­men­te al Bar Sport.
2 — La dome­ni­ca pome­rig­gio, subi­to dopo la par­ti­ta, se la squa­dra ave­va vin­to (o non per­so in tra­sfer­ta: nell’era dei due pun­ti a vit­to­ria, anche il pareg­gio fuo­ri casa era gras­so che cola­va) veni­va issa­ta fuo­ri dal Bar, in Via Man­ga­na­ro, la ban­die­ra dell’Audace. Quan­do anco­ra non c’erano i tele­fo­ni cel­lu­la­ri, né tan­to­me­no inter­net, l’informazione veni­va divul­ga­ta sem­pli­ce­men­te così, per­tan­to, se alle cin­que del pome­rig­gio non era anco­ra sta­ta issa­ta la ban­die­ra bian­co­ros­sa fuo­ri dal Bar Sport, era segnac­cio.
La spet­ta­co­la­re foto del per­so­nag­gio avvi­naz­za­to stet­te espo­sta lì al Bar Sport un po’, quan­to basta­va per stuz­zi­ca­re l’estro di qual­cu­no che, con ano­ni­ma e fata­ta mano, ci ver­gò accan­to, in stam­pa­tel­lo, uno slo­gan di tre (il nume­ro per­fet­to) paro­le: “AUDACE VINO NERO”.
Va da sé che que­sto genia­le slo­gan fu tra­sla­to — tra poco andre­mo nel det­ta­glio — al cam­po spor­ti­vo.
Già, il cam­po spor­ti­vo.
Negli anni Cin­quan­ta il turi­smo era agli albo­ri, la guer­ra ave­va lascia­to il segno e non ave­va fat­to scon­ti a nes­su­no, la mag­gio­ran­za del­la popo­la­zio­ne fera­je­se, com­po­sta da fami­glie nume­ro­se, fati­ca­va a met­te­re insie­me il pran­zo con la cena, ma lo spi­ri­to di rival­sa socia­le era for­te e tro­va­va sfo­go in ogni dove, anche al cam­po spor­ti­vo.
In quel con­te­sto la squa­dra di cal­cio rap­pre­sen­ta­va for­tis­si­ma­men­te il pae­se e il pae­se l’Audace la soste­ne­va in ogni modo.
Il coin­vol­gi­men­to popo­la­re era incre­di­bi­le, tant’è che alla dome­ni­ca a tifa­re Auda­ce c’erano cen­ti­na­ia di per­so­ne assie­pa­te per tut­to il peri­me­tro del ret­tan­go­lo di gio­co, non come ades­so dove la par­ti­ta la si può guar­da­re da un lato solo, sia pur fruen­do di una tri­bu­na como­da e coper­ta.
Ori­gi­na­ria­men­te, lato Car­bu­ro, la base stes­sa del muro del­lo sta­bi­li­men­to, con il suo paio di gra­do­ni (foto 2 si intra­ve­de qual­co­sa), era di per sé una tri­bu­na natu­ra­le, lun­ga una qua­ran­ti­na di metri (foto 1).
Negli anni Ses­san­ta quel­la tri­bu­net­ta fu coper­ta, per cir­ca la metà, da una pen­si­li­na (foto 3); per il resto i tifo­si si arran­gia­va­no, come det­to, a bor­do cam­po.
Però la gen­te era tan­ta e tut­ta non ci sta­va, sic­ché nei pri­mi anni Set­tan­ta fu instal­la­la nel lato oppo­sto una tri­bu­na in fer­ro, coper­ta, la cui tet­to­ia in lamie­ra era bas­sa, tal­men­te bas­sa che siste­ma­ti­ca­men­te gli occu­pan­ti dell’ultima fila la per­cuo­te­va­no con le mani, crean­do alla biso­gna un fra­cas­so assor­dan­te.
La capien­za era di 400 posti (foto 4 e 5), ma quel nume­ro è solo teo­ri­co e natu­ral­men­te pote­va suc­ce­de­re che la tri­bu­na fos­se sti­va­ta all’inverosimile (foto 6).
Era quel­lo un tifo genui­no, pas­sio­na­le, incan­de­scen­te: il Car­bu­ro era vera­men­te una bol­gia.
Di fre­quen­te si leva­va­no al cie­lo anche dei cori in cui, nel­la mag­gior par­te dei casi, l’arbitro costi­tui­va il ber­sa­glio natu­ra­le.
Due su tut­ti: “OHHH OHHH ARBITRO, OHHH OHHH ARBITRO, MALEDETTA LA ROTTA ‘N CULO DI TU MA’, MALEDETTA LA ROTTA ‘N CULO DI TU MA’!” (rit. due vol­te) e, quan­do il diret­to­re di gara non si pre­sen­ta­va con una silhouet­te, dicia­mo così, slan­cia­ta: “BUZZO DI SARPA, BUDELLO DI TU MA!’” (rit. una vol­ta sola, ma scan­di­to bene).
Con quel pub­bli­co lì tut­to era pos­si­bi­le e la vigi­lia di ogni par­ti­ta casa­lin­ga veni­va vis­su­ta dagli spor­ti­vi del pae­se con un’attesa qua­si spa­smo­di­ca, per un sem­pli­ce moti­vo: la par­ti­ta dell’Audace al Car­bu­ro, ogni quin­di­ci gior­ni, era assi­mi­la­bi­le a una festa di popo­lo.
Si è anda­ti avan­ti in que­sto modo fino alla fine degli anni Ottan­ta, quan­do il Car­bu­ro — un cam­po solo e ster­ra­to, tenu­to bene sì ma ster­ra­to — ven­ne dismes­so per far posto al com­ples­so attua­le.
Una fran­gia del pub­bli­co, però, si distin­gue­va dal­la mas­sa per­ché la par­ti­ta la segui­va con scan­zo­na­tez­za e, più che assie­par­si, si accam­pa­va pro­prio die­tro le por­te.
Nel sen­so che era una per­pe­tua degu­sta­zio­ne, sia gastro­no­mi­ca (pane, for­mag­gi, salu­mi, car­ne alla bra­ce, pen­to­lo­ne col pol­po les­so e chi più ne ha più ne met­ta) che eno­lo­gi­ca, dove, è sot­toin­te­so, a scan­so di equi­vo­ci veni­va dispie­ga­ta da subi­to l’artiglieria pesan­te (fia­schi e dami­gia­ne sur­clas­sa­va­no lat­ti­ne e bot­ti­glie).
Ed era la rego­la, non l’eccezione.
Altro che festa di popo­lo… per costo­ro la par­ti­ta dell’Audace era un rito paga­no.
Si accam­pa­va­no, dice­va­mo, die­tro le por­te, tut­te e due, cer­to, a tur­no: aspet­ta­va­no l’esito del sor­teg­gio con la mone­ti­na per vede­re se il capi­ta­no — nel cor­so del tem­po, di nor­ma: Bep­pe Fran­gio­ni, Lucia­no Bac­ci, Ric­car­do Nur­ra, Mario Zam­bo­ni, Gui­do Ansel­mi — ave­va scel­to pal­la o cam­po e poi, men­tre le squa­dre si schie­ra­va­no, loro si incam­mi­na­va­no.
Si diri­ge­va­no die­tro la por­ta degli ospi­ti per due ragio­ni:
1 — vede­re da vici­no il gol dell’Audace.
2 — rom­pe­re i coglio­ni al por­tie­re del­la squa­dra avver­sa­ria (Es. “Occhio! Arri­va­no!”, “O che ci sei venu­to a fa’?”, “Zit­to sen­nò ‘un la pigli la nave!”).
Poi, alla fine del pri­mo tem­po, il pun­tua­le tra­slo­co ver­so la por­ta oppo­sta, con tut­to l’armamentario por­ta­to a spal­la e sot­to­brac­cio, a mani vuo­te non c’era nes­su­no.
Per il por­tie­re avver­sa­rio quei novan­ta minu­ti era­no un cal­va­rio.
Cori da sta­dio non ne face­va­no, però a un cer­to pun­to, rifa­cen­do­si ovvia­men­te all’originario slo­gan conia­to al Bar Sport, dal nien­te uno se ne usci­va con un for­te ber­cio: “AUDAAACE!”.
Con egual mone­ta, un altro, di riman­do: “VINO NEEERO!”.
A quel pun­to, tut­ti insie­me into­na­va­no all’unisono: “AUDACE VINO NERO VINCEREMO!”.
Quat­tro paro­le sta­vol­ta, la sag­gez­za popo­la­re com­ple­tò l’opera aggiun­gen­do­ne una.
Fu rica­va­to il ver­bo facen­do, del­le quat­tro ope­ra­zio­ni, la più faci­le, l’addizione.
Del­la serie: abbia­mo l’Audace, abbia­mo il vino nero, cosa vuoi di più? Come si fa a per­de­re? Vin­ce­re­mo!
Dal­la tri­bu­na, guar­dan­do ver­so loro, si distin­gue­va­no doz­zi­ne di pal­li­ni bian­chi sospe­si nel vuo­to: era­no i fer­ri del mestie­re che veni­va­no sal­va­guar­da­ti, ovve­ro sia i culi dei bic­chie­ri di pla­sti­ca veni­va­no inca­stra­ti tra le ver­di maglie del­la rete di recin­zio­ne, per evi­ta­re di far­li svo­laz­za­re al ven­to.
Poi la par­ti­va fini­va, con l’Audace che in casa non per­de­va pra­ti­ca­men­te mai, per­ché la leg­ge del Car­bu­ro era infles­si­bi­le — per capir­si: capi­ta­va, ecco­me se capi­ta­va, che il risul­ta­to venis­se acqui­si­to, ancor pri­ma che sul cam­po, nel fami­ge­ra­to sot­to­pas­sag­gio — e la mag­gior par­te del pub­bli­co tor­na­va a casa.
Loro no, alme­no non neces­sa­ria­men­te, pote­va­no anche star­se­ne anco­ra un po’ lì in goz­zo­vi­glio e infi­ne, soven­te, il rito paga­no si esau­ri­va con la pro­ces­sio­ne.
Si incam­mi­na­va­no lem­me lem­me ver­so il cen­tro sto­ri­co, sol­tan­to che face­va­no tap­pa (tap­pe) ver­so luo­ghi non esat­ta­men­te di cul­to: bar e bet­to­le (nume­ro­se in quel perio­do), per­ché, una vol­ta ammai­na­ta con van­to la ban­die­ra dell’Audace, c’era comun­que da ono­ra­re il ves­sil­lo del vino nero.
Apria­mo una pic­co­la paren­te­si, il vino, all’epoca, era o bian­co o nero. Pun­to.
E anche se l’etichetta di qual­che bot­ti­glia più o meno pre­gia­ta ripor­ta­va: “Ros­so di…” il vino rima­ne­va in ogni caso nero. Guai, se qual­che gio­va­not­to si fos­se azzar­da­to a chia­mar­lo ros­so sareb­be­ro sta­ti pat­to­ni nel cep­pi­co­ne.
Tra que­sti sin­go­la­ri tifo­si c’era un per­so­nag­gio, ben­vo­lu­to da tut­ti, che ricor­do con affet­to, a cui ero affe­zio­na­to, maga­ri per­ché era sta­to bat­tez­za­to con lo stes­so nome di mia non­na (Nata­li­na).
Ma veni­va chia­ma­to per sopran­no­me e di lavo­ro face­va lo spaz­zi­no.
Neghib­be: un funam­bo­li­co spaz­zi­no.
Era min­gher­li­no, buo­no, gen­ti­le, gene­ro­so e ogni tan­to susci­ta­va lo stu­po­re dei fore­sti che lo vede­va­no all’opera, siga­ret­ta pen­cio­lo­ni tra le lab­bra, con fare raf­fi­na­to e vesti­to di tut­to pun­to — giac­ca, gilet, cami­cia, papil­lon, pan­ta­lo­ni sti­ra­ti, scar­pe luci­de — inten­to a spaz­za­re, ramaz­za­re, rac­co­glie­re nel bido­ne e infi­ne toglie­re il distur­bo con quell’inseparabile api­no che defi­ni­re epi­co è poco.
I fore­sti era­no igna­ri, non pote­va­no sape­re, e for­se nean­che imma­gi­na­re, che la sera pri­ma Neghib­be ave­va pre­sen­zia­to a una cena “di gala”: per lui anche una sem­pli­ce bisboc­cia tra ami­ci pote­va rap­pre­sen­ta­re un even­to festo­so che, se del caso, anda­va omag­gia­to col miglior abbi­glia­men­to pos­si­bi­le.
C’è un par­ti­co­la­re: quel­le cene spes­so, e mol­to volen­tie­ri, si pro­trae­va­no fino all’alba, così Neghib­be nem­me­no anda­va a let­to, non ne ave­va il tem­po, né la voglia, né il moti­vo.
Nes­sun pro­ble­ma, cari­co a mol­la face­va tut­ta una tira­ta e figu­ria­mo­ci se per­de­va un atti­mo a cam­biar­si i vesti­ti.
Face­va dun­que lo spaz­zi­no così, ele­gan­tis­si­mo.
Che clas­se!

Le foto 2, 3, 4, 5, 6 e le dida­sca­lie dell’Audace sono trat­te dal libro di Ago­sti­no Ansel­mi “Auda­ce — La Signo­ra del cal­cio elba­no” (pub­bli­ca­to in rete su muc­chio sel­vag­gio), men­tre la foto 7 di Nata­le Tic­chio­ni dal volu­me (dop­pio) di Rober­to Ridi “Quan­do sen­ti­vo le voci dei gab­bia­ni“.

Anno 1959/1960. Cal­cio di rin­vio di Bep­pe Fran­gio­ni. Lo sta­bi­li­men­to del Car­bu­ro sul­lo sfon­do

Anno 1965/1966. In pie­di da sin.: Men­ghi­ni G., Nur­ra R., Rea­mi E., Sene­si R., Arro­sti­ni P., Medri C.,
Acco­scia­ti: Giu­gia F., Mar­con­ci­ni P., Fran­gio­ni G. (cap), Zam­bo­ni L., Mon­tau­ti G.

 

Anno 1971/1972: In pie­di da sin.: Bac­ci Lucia­no, Zam­bo­ni Mario, Nur­ra Ric­car­do, Arro­sti­ni Pie­ro, Giar­di­ni Mar­cel­lo, Medi­ci Pao­lo, Fala­gia­ni Giu­lia­no. Acco­scia­ti: Fri­ge­rio (mass.), Melis Mosè, Fran­gio­ni Gian­fran­co, Ben­ti, Begue­lin.

Anno 1976/1977. In pie­di da sin.: Melis M., Medi­ci P., Zam­bo­ni M., Fala­gia­ni G., Cala­fu­ri M., Giar­di­ni M., Via­ca­va L. Acco­scia­ti: Mata­ce­ra C., Guer­ra E., Paglia E., Bac­ci L., Ghi­ni C., Nur­ra R.

Auda­ce vec­chie glo­rie. In pie­di da sin.: Nuti Ren­zo, Cala­fu­ri Car­lo, Badia­ni, Mon­tor­si Ste­fa­no, Filip­pi Pie­ro, Giar­di­ni Mar­cel­lo, Fran­gio­ni Giu­sep­pe, Laz­ze­ri­ni Gra­zia­no, Medri Car­lo, Fore­si Umber­to, Tol­la­ri Lucia­no, Car­lot­ti Doria­no, Novem­bri­ni G. Car­lo, Maz­zan­ti­ni A. Acco­scia­ti: Gia­co­mel­li Mar­cel­lo, Zam­bo­ni Lam­ber­to, Fran­ci­ni Emi­lio, Melis Mosè, Fran­gio­ni G. Fran­co, Zam­bo­ni Ser­gio, Tan­ghet­ti Dino, Arro­sti­ni Pie­ro, Giuf­fra Gio­van­ni.

Der­by Auda­ce — Capo­li­ve­ri anno 1979/1980

Nata­le Tic­chio­ni, per tut­ti Neghib­be.

 

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