C’è un momento preciso in ogni discussione sui grandi progetti infrastrutturali in Italia – e specialmente all’Elba – in cui l’entusiasmo si schianta contro un muro. Non è un problema tecnico, non è nemmeno una questione ambientale (che pure è sempre tirata in ballo), ma una frase semplice, spietata, che arriva puntuale come un orologio svizzero: “Ma chi paga?” Fino a quel momento, la conversazione è un tripudio di sogni e visioni futuristiche. L’ospedale all’avanguardia con tutte le specializzazioni, senza code, con parcheggi enormi e trasporti pubblici impeccabili. Il tunnel che collega l’Elba alla terraferma, bypassando il giogo dei traghetti. Un aeroporto degno di questo nome o magari un terminal crociere per attrarre turismo tutto l’anno. Tutto bellissimo, tutto necessario. Poi arriva la fatidica domanda e il castello di carte crolla.C’è sempre qualcuno che obietta: “I soldi non sono un problema”. Un mix di pubblico e privato, magari qualche fondo europeo, e il gioco è fatto. Peccato che il privato investa solo se vede un ritorno garantito e il pubblico sia da sempre il regno della burocrazia e delle promesse non mantenute. Il risultato? Un’eterna attesa, mentre il resto del mondo va avanti. Eppure, ci sono persone convinte che sia più realistico costruire un tunnel piuttosto che un aeroporto o un terminal crociere. Perché? Perché “ha un impatto ambientale ridotto” – come se la sostenibilità fosse il vero ostacolo, e non il fatto che nessuno, ripeto NESSUNO, sia disposto a metterci i soldi. Se un tunnel fosse davvero redditizio, qualcuno l’avrebbe già costruito. I traghetti esistono e sopravvivono perché, alla fine, sono economicamente sostenibili. Certo, in inverno guadagnano meno, ma in estate fanno il pieno. E il tunnel? Solo costi, zero ricavi. Quindi l’unico scenario plausibile sarebbe un progetto pubblico sovvenzionato con miliardi di euro, magari distribuiti generosamente ad aziende “amiche”. La verità è che non faremo mai nulla. Siamo bravissimi a discutere, a lamentarci, a proporre soluzioni che poi non vogliamo (o non possiamo) pagare. In un paese in cui ogni grande opera è un’odissea burocratica e politica, pensare che qualcuno tiri fuori i soldi per un tunnel, un aeroporto o un ospedale modello svizzero, senza un ritorno economico garantito, è pura fantascienza. Non è che le idee siano tecnicamente irrealizzabili. È che sono delle cazzate finanziariamente. Ma guai a dirlo ad alta voce: è più comodo continuare a sognare, fino al prossimo dibattito sterile che finirà, come sempre, con un nulla di fatto.
Lettera firmata
