Quello che stiamo attraversando è un periodo cupo.
Il mondo balla sul bordo della catastrofe, dissanguandosi in guerre, conflitti, migrazioni, impoverimento valoriale prima che economico.
Siamo una società ricca di psicofarmaci e povera di futuro.
Dipendenti dalle emozioni, ma incapaci di dare e riconoscere profondità ai sentimenti.
Ci uccidiamo alacremente, ed uccidiamo quotidianamente la nostra umanità.
All’orizzonte un cielo fosco fatto di privazioni per tutti e paradisi cosmici per i pochi per potranno permetterselo.
Intorno le macerie di un mondo che abbiamo consumato e che dilava la propria fertilità, alluvionato di disastri, franando in liquami percolanti, simbolo di un imputridimento generale, che olezza il peso della mancanza di uno scopo.
Al punto che oramai l’uomo si immagina fuori dalla storia, costruisce le macchine che lo sostituiranno, si cannibalizza in robot sempre più performanti.
E scompare dall’orizzonte, consapevole della propria dannazione.
Cosa ci rimane da fare dunque?
Abbiamo bisogno di una rivoluzione, ma nessuna rivoluzione sarà mai possibile se non siamo in grado di rivoluzionare anche noi stessi.
Innanzitutto noi stessi.
L’amore è il sentimento più nobile che abbiamo. L’amore come decisione e abbandono totale. L’amore che rende indifesi e che non pretende né chiede ma aspetta e costruisce. L’amore che non ha prezzo e per questo è alla portata di tutti. Che costruisce senso e dimensioni giuste.
L’amore come metafora e come vissuto reale, fatto di scommesse senza calcoli e di vittorie che non richiedono vittime. L’amore come senso dei sensi, e come sensatezza che emana dalla perdita di senno. Come radicale negazione della società darwinista in cui vincono sempre i soliti.
Perché niente e nessuno potrà mai vietarci di amare. Se solo abbiamo il coraggio di farlo.
Da una parte la guerra. Dall’altra l’amore. E nel mezzo noi, che possiamo scegliere da che parte stare.
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