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Nuovo intervento di ripristino degli ambienti dunali a Lacona, Isola d’Elba

Il secon­do inter­ven­to di ripri­sti­no del­le dune di Laco­na, nel Comu­ne di  Capo­li­ve­ri, Iso­la d’Elba, si avvia alla con­clu­sio­ne. Le dune, cru­cia­li per la bio­di­ver­si­tà e la pro­te­zio­ne lito­ra­nea, sono vul­ne­ra­bi­li alla pres­sio­ne antro­pi­ca. Gra­zie al pro­get­to RESTO CON LIFE, il Par­co Nazio­na­le Arci­pe­la­go Tosca­no ha già effet­tua­to inter­ven­ti, ma even­ti meteo­ro­lo­gi­ci del 2018 han­no dan­neg­gia­to gra­ve­men­te l’a­rea.
Nuo­vi inter­ven­ti, finan­zia­ti dal Mini­ste­ro dell’Ambiente e del­la Sicu­rez­za Ener­ge­ti­ca , mira­no a pro­teg­ge­re e ripri­sti­na­re le dune con tec­ni­che di inge­gne­ria natu­ra­li­sti­ca. La pine­ta di pino dome­sti­co, col­pi­ta da un paras­si­ta, è sta­ta dira­da­ta e alcu­ni albe­ri abbat­tu­ti per con­te­ne­re la dif­fu­sio­ne del coleot­te­ro. L’ab­bat­ti­men­to ha coin­vol­to anche esem­pla­ri sec­ca­ti da bla­sto­fa­go, ma la rimo­zio­ne com­ple­ta del fusto è evi­ta­ta per pre­ser­va­re la necro­mas­sa, bene­fi­ca per inset­ti e ver­te­bra­ti, dimo­stran­do l’u­ti­li­tà eco­lo­gi­ca di lascia­re in pie­di albe­ri mor­ti.
In alle­ga­to il comu­ni­ca­to com­ple­to che ne descri­ve l’in­ter­ven­to, a cura  del Grup­po di pro­get­ta­zio­ne e dire­zio­ne Lavo­ri: Iris sas di M. Bac­ci e NEMO srl , Pro­get­ti­sti e Dire­zio­ne Lavo­ri: Mau­ri­zio Bac­ci, Ste­fa­no Cor­si, Miche­le Giun­ti, Leo­nar­do Lom­bar­di

Foto e testi: Miche­le Giun­ti e Fran­ce­sca Gian­ni­ni

Tra la sab­bia e le pian­te del­le dune di Laco­na, Iso­la d’Elba

 Ormai si avvia alla con­clu­sio­ne il secon­do inter­ven­to di ripri­sti­no degli ambien­ti duna­li di Laco­na. Come è noto, le dune sab­bio­se, oltre che per le spe­cie ani­ma­li e vege­ta­li, più o meno rare, che vi vivo­no assu­mo­no una gran­de impor­tan­za per la pro­te­zio­ne del­le zone lito­ra­nee. Esse costi­tui­sco­no una riser­va di sab­bia che pos­so­no rifor­ni­re all’arenile in occa­sio­ne di gran­di mareg­gia­te e con­tri­bui­sco­no alla tute­la del­le fal­de dul­cac­qui­co­le costie­re.
Pur­trop­po, tale ambien­te risul­ta par­ti­co­lar­men­te vul­ne­ra­bi­le alla pres­sio­ne antro­pi­ca, in quan­to fon­da­to su un fra­gi­le equi­li­brio dina­mi­co tra fat­to­ri mor­fo­lo­gi­ci e cli­ma­ti­ci e negli ulti­mi decen­ni il cre­scen­te uti­liz­zo degli are­ni­li a sco­po turi­sti­co-ricrea­ti­vo insie­me ai feno­me­ni di ero­sio­ne costie­ra, ne han­no mes­so a rischio l’integrità e la fun­zio­na­li­tà.
Il Par­co Nazio­na­le Arci­pe­la­go Tosca­no nel bien­nio 2016–17, gra­zie a finan­zia­men­ti del­la Com­mis­sio­ne Euro­pea con il pro­get­to RESTO CON LIFE, ha rea­liz­za­to una serie di inter­ven­ti di ripri­sti­no per resti­tui­re “spa­zio” al siste­ma duna­le, affin­ché lo stes­so potes­se esple­ta­re le pro­prie dina­mi­che evo­lu­ti­ve.
In Otto­bre 2018 pur­trop­po l’area com­pre­sa tra il Mar di Sar­de­gna, il Mar di Cor­si­ca e il Mar Ligu­re è sta­ta inte­res­sa­ta da un even­to meteo­ro­lo­gi­co di ecce­zio­na­le por­ta­ta. L’arenile e il siste­ma duna­le han­no subi­to dei feno­me­ni ero­si­vi che sono sta­ti limi­ta­ti e in par­te anche evi­ta­ti gra­zie alle ope­re pre­sen­ti, le qua­li però a loro vol­ta sono sta­te gra­ve­men­te dan­neg­gia­te.
Al via quin­di i nuo­vi inter­ven­ti (con un finan­zia­men­to del Mini­ste­ro dell’Ambiente e del­la Sicu­rez­za Ener­ge­ti­ca) con l’obiettivo di pro­teg­ge­re e ripri­sti­na­re la mor­fo­lo­gia duna­le, gra­zie all’utilizzo di tec­ni­che di inge­gne­ria natu­ra­li­sti­ca, che dimi­nui­sco­no l’energia cine­ti­ca del­le onde e favo­ri­sco­no l’accumulo di sab­bia a retro del­le stes­se, con l’accrescimento del­la zona ante­du­na­le.
Così come le effi­me­re pian­te che si tro­va­no mol­to vici­no al mare anche gli albe­ri che cre­sco­no a ridos­so del­le dune han­no il pro­prio ruo­lo fun­zio­na­le; la pine­ta di pino dome­sti­co neces­si­ta­va di un’attenzione par­ti­co­la­re. Già dira­da­ta con i pri­mi inter­ven­ti, rimuo­ven­do le pian­te con chio­ma depe­rien­te o adug­gia­ta o quel­le che eser­ci­ta­no una con­cor­ren­za ecces­si­va nei con­fron­ti di quel­le meglio con­for­ma­te, è sta­ta attac­ca­ta pesan­te­men­te da un paras­si­ta, il bla­sto­fa­go dei pini (Tomi­cus destruens).
La rapi­da dif­fu­sio­ne del bla­sto­fa­go ha costret­to quin­di ad inter­ve­ni­re su un nume­ro mag­gio­re di indi­vi­dui rispet­to a quel­lo ogget­to di un nor­ma­le dira­da­men­to (com­ples­si­va­men­te 46 di cui 24 risul­ta­ti attac­ca­ti). Pur­trop­po, non resta­va che l’abbattimento, come uni­ca solu­zio­ne per ten­ta­re di con­te­ne­re la dif­fu­sio­ne del coleot­te­ro.
Tra que­sti esem­pla­ri abbat­tu­ti, ve ne era­no 12 già com­ple­ta­men­te sec­chi; alcu­ni da diver­si mesi, altri da 1–2 anni. Uno di que­sti era un pino dome­sti­co aven­te carat­te­re monu­men­ta­le, ben cono­sciu­to per le note­vo­li dimen­sio­ni e la mae­sto­si­tà del­la chio­ma. Assie­me ad un altro paio di esem­pla­ri posti nel­le vici­nan­ze, e per ades­so anco­ra appa­ren­te­men­te sani, risul­ta­no le pian­te attual­men­te più lon­ge­ve del Gol­fo.
Tut­ta­via non sem­pre è uti­le pro­ce­de­re con la rimo­zio­ne dell’intero fusto anche quan­do la pian­ta è com­ple­ta­men­te sec­ca; infat­ti per moti­vi eco­lo­gi­ci è ormai con­so­li­da­ta la pra­ti­ca, negli ambien­ti natu­ra­li e tal­vol­ta anche nei giar­di­ni sto­ri­ci, di rila­scia­re in pie­di i fusti sec­chi poi­ché la pre­sen­za di legno mor­to in gran­di quan­ti­tà, necro­mas­sa, favo­ri­sce mol­te spe­cie di inset­ti (non dan­no­si), ma anche ver­te­bra­ti come uccel­li e pic­co­li mam­mi­fe­ri, che uti­liz­za­no que­sta risor­sa per svol­ge­re alcu­ne fasi del pro­prio ciclo bio­lo­gi­co.
Par­reb­be un con­tro­sen­so e la doman­da spon­ta­nea è: e il bla­sto­fa­go non soprav­vi­ve? Sem­bra di no, infat­ti la neces­si­tà di rimuo­ve­re o cip­pa­re com­ple­ta­men­te il mate­ria­le legno­so attac­ca­to dal bla­sto­fa­go vale per tut­te le pian­te la cui colo­niz­za­zio­ne è in cor­so. Una vol­ta che la pian­ta ha subi­to l’attacco e risul­ta da oltre un anno com­ple­ta­men­te sec­ca, il suo smal­ti­men­to ai fini del­la limi­ta­zio­ne del paras­si­ta non ha più sen­so.
Così al Pino­ne è sta­ta rimos­sa la chio­ma e le prin­ci­pa­li rami­fi­ca­zio­ni che pote­va­no esse­re peri­co­lo­se ed ades­so il fusto testi­mo­nia non solo la sua sto­ria, che si intrec­cia con quel­la di chi ha vis­su­to e vive in que­sto luo­go, ma anche l’utilità eco­lo­gi­ca del rila­scio di gran­di esem­pla­ri mor­ti in pie­di all’interno degli ambien­ti natu­ra­li.

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