La casa di reclusione di Porto Azzurro ospita meno di trecento detenuti per pene definitive. Si trova sull’isola d’Elba — trentamila abitanti nei mesi invernali — ed è un imponente complesso fortificato che venne edificato dagli spagnoli all’inizio del Seicento. Le robuste mura perimetrali della struttura, tuttavia, non hanno resistito all’assalto della speranza predicata da don Francesco Guarguaglini, parroco sull’Isola da diversi anni, ora a Capoliveri, e cappellano del carcere, che, nel corso della sua esperienza da isolano, ha tessuto un profondo rapporto con i detenuti e intrecciato la vita della comunità a quella dell’istituto penitenziario.
“Nel carcere ci sono detenuti per i reati più vari – spiega don Francesco a Giulia Rocchi nel servizio “Nell’Isola dove ci si riscopre fratelli. Nonostante le sbarre” che si può leggere al link https://www.unitineldono.it/le-storie/nellisola-dove-ci-si-riscopre-fratelli-nonostante-le-sbarre/–. Alcuni stavano già qui quando sono arrivato, più di dieci anni fa. Altri sono entrati dopo. Nelle diverse parrocchie in cui ho prestato servizio ho sempre cercato la condivisione, promuovendo momenti di incontro, testimonianze e invitando i parrocchiani a dare una mano”. Uno scambio arricchente per i detenuti e anche per la comunità in un processo di conciliazione che si alimenta reciprocamente nel nome di Cristo e da cui traggono beneficio soprattutto coloro che stanno scontando la pena: “Si accende una scintilla - prosegue il don -, una luce divina, che a tanti fa vedere la vita con occhi diversi, come non l’avevano mai guardata”.
Il cammino non è semplice eppure esistono le storie di rinascita da raccontare: come Mario che è riuscito a superare la dipendenza da droghe e a rimettersi in piedi, ottenendo a cinquant’anni la sua prima busta paga, o Giovanni che, a 47 anni, ha finalmente compreso il senso dell’amore che può esistere anche dietro le sbarre. Esperienze di un’umanità che rinasce e quindi “anche in un mondo così distratto, secolarizzato e materialista, il seme può cadere nel terreno buono”, sottolinea don Francesco.
A far superare il senso di isolamento e solitudine di “Forte Longone”, il nome storico della casa di reclusione collocata su un promontorio lungo la costa sud-orientale dell’Isola d’Elba, rivolta verso il canale di Piombino, è proprio l’abbraccio di una comunità che non lesina il supporto ai detenuti, sia per le necessità interne al carcere che per accompagnarli e supportarli durante i permessi. Fondamentale anche la collaborazione di altre realtà che operano sul territorio come Rinnovamento nello Spirito, un’associazione che spinge gli aderenti e i simpatizzanti a sperimentare un modo nuovo di “essere cristiani e di vivere nella Chiesa, secondo la tradizione propria delle prime comunità cristiane”. Con loro ci sono i volontari dell’associazione Dialogo, da tre decenni presente nel carcere di Porto Azzurro, che si preoccupano dei bisogni pratici dei detenuti.
Per alimentare il senso di unione e comunità, l’associazione ha inoltre realizzato una struttura destinata all’accoglienza delle famiglie che vengono a fare visita ai propri cari in carcere; pure diverse parrocchie mettono a disposizione alcune stanze per ospitarli.
Per don Francesco, un passato da missionario in Ciad, la piccola comunità dell’Isola d’Elba è un territorio di speranza che cura con l’attenzione che si riserva alle opere più delicate e preziose perché da queste parti il confine delimitato dalle sbarre è sbiadito dalla forza della fede. “Le cose per i detenuti cambiano quando riescono a riconciliarsi con se stessi – spiega il sacerdote –. Lì celebro la Messa la domenica, poi ogni settimana abbiamo un momento di catechesi con le prove del coro e i colloqui personali. È il Vangelo che li aiuta a cambiare”.
L’impegno di sacerdoti come don Francesco non conosce soste. Testimoni del Vangelo, ogni giorno ci offrono il loro tempo, ascoltano le nostre difficoltà e incoraggiano percorsi di ripresa; si dedicano a tempo pieno ai luoghi in cui tutti noi possiamo sentirci accolti e si affidano alla generosità dei fedeli per essere liberi di servire tutti. Promotori di tantissime storie di salvezza e aiuto portate avanti sul territorio, i sacerdoti sono impegnati in prima linea insieme alle loro comunità. In queste opere sono sostenuti dalle offerte liberali dedicate al loro sostentamento.
“Il sacerdote per svolgere il proprio compito ha bisogno di sostegno e supporto per vivere una vita decorosa — sottolinea il responsabile del Servizio Promozione per il sostegno economico alla Chiesa cattolica, Massimo Monzio Compagnoni – Le offerte rappresentano il segno concreto dell’appartenenza ad una stessa comunità di fedeli e costituiscono un mezzo per sostenere concretamente tutti i sacerdoti, dal più lontano al nostro. I nostri sacerdoti hanno bisogno della vicinanza e dell’affetto delle comunità. Oggi più che mai ci spingono a vivere il Vangelo affrontando le difficoltà con fede e generosità, rispondendo alle emergenze con la dedizione”.
Le Offerte per i sacerdoti, nate come strumento per dare alle comunità più piccole gli stessi mezzi di quelle più popolose, sono diverse da tutte le altre forme di contributo a favore della Chiesa cattolica in quanto espressamente destinate al sostentamento dei preti diocesani. Dal proprio parroco al più lontano.
Le offerte raggiungono circa 33.000 sacerdoti al servizio delle 227 diocesi italiane e, tra questi, anche 300 sacerdoti diocesani impegnati in missioni nei Paesi del Terzo Mondo e 3.000 sacerdoti, ormai anziani o malati, dopo una vita spesa al servizio agli altri e del Vangelo. L’importo complessivo delle offerte nel 2020 si è attestato sopra gli 8,7 milioni di euro rispetto ai 7,8 milioni del 2019. È una cifra ancora lontana dal fabbisogno complessivo annuo necessario a garantire a tutti i sacerdoti una remunerazione pari a circa mille euro mensili per 12 mesi.
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