Il mese scorso, presso il Comune di Marciana, si è tenuto un incontro fra il PNAT e la cittadinanza sul tema degli ungolati. Il Presidente Sammuri ha risposto ai cittadini, preoccupati per i danni provocati all’ambiente e alle coltivazioni e per la sicurezza stradale, sostenendo che il problema non è solo elbano ma nazionale. Il PNAT ha proposto uno studio per trovare soluzioni al problema, si prevede della durata di 8 mesi, prima di avviare l’ eradicazione. Soluzione che la Commissione Ambiente della Fondazione Isola d’Elba ritiene inutilmente costosa e inefficace. In tutta Italia il problema è lo stesso: siamo passati da una caccia indiscriminata che ha quasi portato all’ estinzione degli ungulati, alla creazione di numerose aree protette che, in pochi decenni hanno portato ad una riproduzione incontrollata di cinghiali , caprioli , cervi , daini , mufloni, che ha ingigantito il problema. Sull’Isola, i nostri nonni con una caccia indiscriminata sono arrivati a estinguere i cinghiali, che da sempre popolavano i boschi elbani. Oggi accade il contrario. Prima dell’istituzione del Parco si era trovato un buon equilibrio, le aree protette erano limitate alle parti più alte delle nostre montagne e l’attività venatoria teneva stabile il numero dei capi. Oggi invece la stragrande maggioranza del territorio rientra in area Parco e il numero degli ungulati è esploso. In continente il lupo, predatore naturale degli ungulati, è stato cacciato in passato sin quasi all’ estinzione. Oggi, essendo specie protetta, sta riproducendosi rapidamente diventando un problema molto più grave degli stessi ungulati. In futuro camminare nei boschi con bambini o cani da compagnia sarà pericoloso. All’ Elba dobbiamo trovare soluzioni diverse. Gli elbani ricordano le polemiche per l’ istituzione del Parco, il cui simbolo erano i mufloni, e la campagna contro i cacciatori, che se sparavano di pochi metri dentro l’area parco a un cinghiale erano considerati i nemici della biodiversità. Oggi è il PNAT che intende eradicarli, come è stato fatto con ricci, lepri, fagiani e pernici nell’Arcipelago, ritenute geneticamente impure .
Augurandoci che dagli errori del passato si possa imparare, suggeriamo alcune soluzioni.
1) Attività venatoria aperta agli ungulati per 6 mesi all’anno, da ottobre a marzo, anche in area Parco, in tutte le zone basse vicine ad insediamenti o coltivi. Nella parti alte (stessi confini prima dell’istituzione del Parco) divieto di caccia e creazione di alcuni recinti aperti lasciando cibo a disposizione.
2) Nei mesi di silenzio venatorio nelle zone di caccia, rendere disponibili permessi contingentati per selecontrollori e consegnare gabbie di cattura ai proprietari dei terreni con possibilità di rivendere sul mercato alimentare.
3) Anche nelle zone protette il Parco potrà attivare sistemi di prelievo gestito per il mercato alimentare locale, con un ritorno economico. Basterà chiudere i recinti nei momenti opportuni per prelevare i capi in eccesso senza sparare.
Siamo certi che nel giro di pochi mesi il problema ungulati tornerà sotto controllo, ci sarà una crescita del turismo venatorio in inverno, del mercato gastronomico e anche del turismo ambientale, che sarà felice di poter incontrare e fotografare mufloni e cinghiali liberi sulle nostre montagne. Gli animali sono molto intelligenti e, persone competenti, con pochi colpi di fucile e un po’ di cibo, potranno raggrupparli dove si desidera. Offriamo completa collaborazione per trovare soluzioni condivise, ricordando che i nostri progenitori erano cacciatori, ma anche che la Natura ci ha affidato la gestione del territorio e dell’ambiente nel quale viviamo. Dobbiamo farlo con amore e rispetto per ottenere un equilibrio duraturo.
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