Oggi più che mai il mondo ha bisogno di “maestri” di silenzio: lo diceva Terzani, lo ripetono in concerto religioni e filosofie d’ogni tempo. E proprio del silenzio s’innamorò — forse (mi sia passata la licenza narrativa) — il buon Joseph, il governatore che nel 1606 ordinò la realizzazione di una piccola cappellina da dedicare alla Madonna Nera, sincero ‘trait d’union’ con la sua terra. E in un luogo sacro ed impervio, dove le montagne attorno formano una corona a mo’ cinta muraria, in tanti han cercato di cogliere quanto la quiete e la tranquillità d’una vita agreste potesse offrire; ma i frutti della vigna e dei censi non sarebbero certo bastati: l’acedia non fa sconti a nessuno. Così, coi frati prima e gli eremiti dopo, la cura del tempietto passò inquieta di mano in mano, subì ritocchi (‘restyling’ diremmo adesso), crebbe di fama. Il ‘sacellum’ selvaggio e pietroso colpì chiunque vi facesse visita: si saliva per chieder grazie, perché la preghiera fosse più “vera”, magari viva; e forse la si sarebbe davvero vista guizzare innanzi agli occhi, persa tra il fumo dei ceri d’altare, inseguendo il latino maccheronico di un cappellano che ogni giorno — a piedi — era costretto a partire dal borgo per celebrar lassù gli uffici (perlomeno fino alla metà del XVIII Secolo). Fu meta di naviganti, prelati e artisti. Del resto ne rimase colpito anche Napoleone, che il 6 settembre 1814 venne ospitato da Andrea Tosi, giovane custode/eremita che in quelle stanze sarebbe morto, vecchio e ormai paralizzato, all’indomani dell’Unità… dopo quasi cinquant’anni di ‘deserto’ (sebbene non mancassero momenti conviviali). Eppure è solo di notte (e lontani dal caos) che Monserrato indossa il vestito più bello. Sempre. Con ogni vento, in ogni stagione, ricordandoci (silenzioso) il superbo incanto della semplicità.