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Manchette di prima

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Manchette di prima

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418 anni di storia Longonese

Quat­tro­cen­to­di­ciot­to can­de­li­ne: un sof­fio inde­fi­ni­to, ed ecco­le spen­te. Poi, in quel fumo… la sto­ria. La nostra sto­ria.
Non potrem­mo cer­to sape­re l’ora esat­ta in cui le dodi­ci galee spa­gno­le die­de­ro fon­do nel­la rada di ‘Por­tus Lon­ge’, il momen­to in cui la volon­tà del Re si fece mat­to­ne, poi cal­ce, per defi­ni­re con meto­do un efe­bi­co, grez­zo “Sta­to dei Pre­si­di”. Vero è che nel­la semio­scu­ri­tà d’un ano­ni­mo 8 mag­gio 1604, in un’alba che non si sareb­be dovu­ta con­trad­di­stin­gue­re dal­le altre, per­lo­me­no non in quel modo, i ves­sil­li d’una “Cat­to­li­cis­si­ma Spa­gna” sfre­ga­ro­no le acque di Mola, facen­do pro­pria la ter­ra, il suo­lo.
E per tut­ti, dai vici­ni di casa al Gran­du­ca di Tosca­na, fu gran­de la sor­pre­sa, indi­ge­sto lo smac­co; d’altronde lo avreb­be­ro dovu­to sape­re: col Trat­ta­to di Lon­dra del 1557 (sigla­to da Filip­po II) la pos­si­bi­li­tà che l’Elba fos­se muni­ta d’avamposti “ibe­ri­ci” gia­ce­va scrit­ta nero su bian­co.
Pre­se il via la costru­zio­ne. Per le linee essen­zia­li, due anni d’estenuanti lavo­ri: model­la­re la roc­cia, sca­var­la, non è cosa da poco.
Il com­ples­so pen­ta­go­na­le, che si rifà a quel­lo d’Anversa, pare­va ine­spu­gna­bi­le: dop­pia cin­ta mura­ria, bastio­ni colos­sa­li, cam­mi­na­men­ti coper­ti, fos­sa­ti e paliz­za­te. Anche lo sco­glio che pla­ci­do s’abbandonò alla Coro­na spa­gno­la fu pro­fa­na­to: deci­ne e deci­ne di gal­le­rie sot­ter­ra­ne pre­se­ro il lar­go oltre le mura, dira­man­do le cavee radi­ci sino alle cam­pa­gne, alla spiag­gia. Ades­so, sfi­gu­ra­te dal­la memo­ria popo­la­re, giac­cio­no nell’oblio, e quel rifu­gio che pri­ma era ser­ba­to alla popo­la­zio­ne è mono­po­lio di topi, ragni e inno­cue ser­pi. Le garit­te, sfer­za­te dai ven­ti, padro­neg­gia­no la costa. Il vec­chio cam­pa­ni­le di San Gia­co­mo domi­na impas­si­bi­le il cir­con­da­rio, malin­co­ni­co di quan­do, gio­io­so, tril­la­va per la festa patro­na­le e di quan­do, pru­den­te, affi­da­va mes­sag­gi segre­ti all’artiglieria (come per l’assedio del 1799).
Fu così che agli albo­ri del XVII seco­lo la cit­ta­del­la diven­ne grem­bo del pae­se; lo è sta­to per anni, qua­si cen­to. Ma per evi­ta­re l’intransigenza d’alcune rego­le (come l’impossibilità d’uscire dal tra­mon­to all’alba) la gen­te pre­se a sta­bi­lir­si in mari­na, lun­go la spiag­gia, ove già esi­ste­va­no una chie­set­ta dedi­ca­ta alla Madon­na del Car­mi­ne, un pic­co­lo bor­go di pesca­to­ri napo­le­ta­ni e geno­ve­si, un Uffi­cio di Sani­tà Marit­ti­ma, un “Arse­na­le Regio” e qual­che magaz­zi­no. Nac­que, poi, la Guar­dio­la: la pri­ma “caser­ma extra-muros”. Un pre­se­pe di caset­te semi­na­te qua e là tin­se la pare­te roc­cio­sa che scen­de­va, erta, dal Pre­si­dio. Il ger­me urba­ni­sti­co con­ta­giò un po’ tut­to; archi, vol­te e caran­chio­ni: in poco meno di trent’anni il pre­te c’aveva già sul grop­po­ne una cin­que­cen­ti­na d’anime. I reli­gio­si del For­te, con un miglia­io di sol­da­ti e la cura dell’ospedaletto, non eran cer­to mes­si meglio.
Da Mon­ser­ra­to, inve­ce, con­ti­nuo l’andirivieni. La fama di quel san­tua­rio nato per volon­tà di Jose­ph Ponçe Y Léon (pri­mo gover­na­to­re) si dif­fu­se pre­sto in tut­ta l’Elba… e anche un po’ oltre. Ai romi­ti, per vive­re, basta­va poco. Esau­ri­te le fun­zio­ni, con un lati­no sgan­ghe­ra­to, l’unico momen­to di pace, a mo’ d’ascesi, l’avrebbero avu­to in cima a quel mon­te, in una grot­ta, a cer­car “con­tat­ti” col pro­prio sé divi­no. Poi, al vespro, di nuo­vo al sole, a inqua­drar l’incredibile pano­ra­ma: la For­tez­za fuman­te, per i fuo­chi; lo scal­pi­tio del­la caval­le­ria, di ritor­no da Rio; la pro­ces­sio­ne di don­ne che se n’andava a Bar­ba­ros­sa, al “lava­to­io”, e quei lon­ta­ni galeo­ni neri in rot­ta ver­so Lon­go­ne. Reclu­sa nel­la sti­va, maga­ri in due o tre bot­ti di vino, sfol­go­ran­te, la moder­ni­tà. A quel­la, no, l’eremita non c’era mica abi­tua­to!

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