In questi giorni Porto Azzurro si lascia alle spalle un altro pezzettino della sua storia.
Sono solita scrivere, molto, ma non a rendere pubblico il mio pensiero.
Oggi penso però che, non potendo più nessuno dei miei due nonni cantarmi quelle storie che sono state i miei racconti preferiti d’infanzia, sia doveroso almeno ricordare ciò che sono stati loro, così come tutti i nostri nonni e genitori, per il paese.
Erano delle ninnananne per me, raccontate all’infinito da quelle voci che sanno di storia. Due voci le loro sempre a dibattere su chi fosse “figliolo” di chi e di come fosse andato veramente quell’ episodio in particolare, ma che arrivavano sempre a delineare stralci di vita in cui tu, bambina e ragazza, ti ci sentivi proprio dentro, quasi ad averle vissute in prima persona.
Nonno era del ‘32, nonna del ‘38. Li conoscevano in tanti, troppi forse, tanto che anche oggi si ricordano tutti da dove provengo io che di anni ne ho 24.
Una generazione la loro che ha vissuto periodi bui, la fame vera, quella dove si sarebbero mangiati anche un gabbiano ma la loro carne era troppo dura -“bestiaccia! Manco pè mangià sei bono”- per poi conquistare il mondo e tirar su tutto ciò che oggi vediamo.
Il Conca mi raccontava sempre di come la spiaggia prendesse il posto della piazza e Sarina di come ci fossero pochissime case e si sentisse un po’ spersa appena arrivata in paese. Mi raccontavano delle famiglie storiche, del mare, dei suoi frutti e delle mille peripezie in motoscafo. Del mercato vecchio, delle vecchie affacciate al balcone e anche delle “sudicie” che in paese non si lavavano. Di un merlo indiano ad una finestra che insultava chiunque passasse per strada.
Mi raccontavano di tutti gli scandali amorosi del tempo e di tutte le tresche che nascondevano in quell’appartamentino dato in affitto in località Piano delle anime, ora via I Maggio. Lo raccontavano solo a me, quasi elevandomi a custode del Sacro Graal.
Mi raccontavano delle feste di piazza, del ballare il liscio, del circolino dello Schiopparello, del carnevale (quello vero) dove non capivi se ballavi con una donna o con un uomo travestito da donna. Dove riconoscevi le persone dalle caviglie che spuntavano sotto i vestiti.
Della festa dei fiori e delle mille goliardate. Della guerra, della paura e del Fascio e i suoi rappresentanti nella stessa piazza teatro poi di tanti sorrisi.
Suoni, volti, aneddoti e colori che per me erano meglio di ogni cartone animato che avevo a disposizione davanti alla tv.
LA TV. Tra il ‘59 e il ‘64 una delle poche in paese era a casa loro in salita San Giovanni e tanti si radunavano lì, in un clima di completa condivisione, a vedere i primi programmi in bianco e nero.
Una casa quella fatta dalle persone, amici e parenti, non dalle mura.
Poi casa in Via I Maggio, teatro di mille pomeriggi dei bambini e ragazzi che conoscevano e conoscono mia mamma e mia zia. Tutti a casa Conca a giocare e mangiare le incredibili merende di Sarina, che sicuramente qualcuno di voi ricorderà, lo so. I vostri genitori vi venivano a raccattare la sera con i baffi di cioccolata o chissà che altra golosità.
Poi il primo negozietto edile in via Kennedy e la nascita del Conca Edil a Monserrato di cui conservo ancora gelosamente tutti i cappellini e portachiavi.
Non basterebbe un libro per raccontarle tutte e infatti qui mi fermo.
Volevo solo rendere merito alle meravigliose persone che sono state, generose e oneste come poche, fonte di ispirazione e per me come dei secondi genitori, come lo sono stati per tanti altri.
Un monito il mio per ricordare a chi è sempre qui e può parlare di non dimenticare mai ciò che i vecchi saggi hanno fatto per noi, per il nostro paese.
Vogliate bene anche se invecchiando si diventa un po’ tremendi, chiedete e ascoltate, fatevi narrare la storia perché è inestimabile e la avrete per sempre con voi come un diamante da una vita passata.
Porto Azzurro non sarebbe niente ora senza la loro generazione e dobbiamo rendergliene merito sempre.
Siete vita e tutti lo devono tener presente.
Quindi, oggi fatevi un regalo, se avete sempre un Carlo e una Sarina con voi, andate a dargli un bacio e chiedetegli di raccontarvi quell’episodio che vi hanno già raccontato un centinaio di volte. Li renderete felici e continuerete ad imparare da loro, un dono unico.
E a voi, nonnini miei, vi saluto dedicandovi questi miei versi
“Ecco il vostro eterno valzer
Sulla pista più bella di sempre
Fari su di voi
Fluttuanti trottole innamorate “
Beatrice Antonello