Sono passati cinquantadue anni da quando ti vidi, Don Franco, per la prima volta arrivare a Poggio. Era l’agosto del 1969 ed ero nel pieno di una Festa che ogni anno organizzavo e che quell’estate ricordava Don Chisciotte della Mancia. E come un picaresco Don Chisciotte ti vidi arrivare non in sella di un Ronzinante ma in jeans su una Moto Guzzi 500 Falcone con giubbotto e capelloni da figlio dei fiori e venivi a insediarti come nuovo parroco della nostra Comunitas dal Corea di Livorno quartiere a nord della città labronica che per aver accolto migliaia di persone sfollate dal Polesine e racchiuse in misere case piccole e modeste ironicamente fu etichettato con un «Par d’essè in Corea» e dove, mi avresti raccontato poi, durante le benedizioni delle case rifacevi di corsa quelle scale inseguito da improperi più che da genuflessioni con l’amen di chiusura ma tu sapevi poi risalire quelle scale. Tu con le tue origini contadine della bassa padania conoscevi quella “humanitas”; la conoscevi e la amavi riamato. Don Franco tu eri l’amico che scherzosamente mi ha sempre chiamato per cognome sin da subito divertendoti e da subito sei entrato nel mio e nei nostri cuori perché in mezzo alla gente ci sapevi stare come un buon parroco tra i parrocchiani e tu sei stato un buon pastore per questi cinquantadue anni trascorsi assieme. Quando ci rincontreremo, chissà, ricorderemo gli anni trascorsi assieme; ora lo faccio con due foto sbiadite e lontane in quel primo anno del 1969: la firma che mettesti assieme a tanti di noi sulle scale della Piazza appena arrivato divertendo e divertendoti e la prima uscita a cantare la Befana nelle vie del paese tra infreddoliti cantori. Don Franco ci mancherai. Ti abbraccio con le lacrime negli occhi e il dolore nel cuore.
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Paolo il Ferruzzi