Oggi l’Edicola Elbana ha il piacere di fare gli auguri ad una grande persona, l’immenso Gianrico Tedeschi, attore, scrittore e regista, che compie la bellezza di 100 anni. Un patrimonio della nostra cultura, di cui abbiamo avuto l’onore di presentare il libro scritto dalla figlia, Enrica (a cui va il nostro abbraccio e ringraziamento) dal titolo “Semplice, buttato via, moderno: il “teatro per la vita”, che ci racconta questi 100 anni intensi tra il palcoscenico, il cinema, la radio, la televisione e la vita.
Dal sito del Corriere.it riportiamo questa bellissima intervista fatta alla figlia che racconta uno spaccato del’900 raccontato con passione e oggettività.
La figlia Enrica dice: «È come un bambino ma gli manca il teatro e ci chiede in quale piazza deve recitare». Una carriera lunga, felice, su due binari che si incontrano spesso, comico e tragico
Gianrico Tedeschi, da quattro anni assente dalle scene, è uno dei 1377 abitanti di Pettenasco, paese a fianco degli amati monti visti alla finestra e dell’amato lago d’Orta, al confine tra Piemonte e Lombardia. Con la moglie e partner Marianella Lazlo, ma senza il resto della famiglia e gli amici che avrebbero voluto spegnere con lui le candeline, lunedì 20 aprile festeggerà 100 anni. Batte la sua amica Franca Valeri il cui secolo scocca il 31 luglio: entrambi milanesi, si incontravano nei molti teatri cittadini aperti.
Come vive un grande attore la offensiva crudele, la pena del contrappasso della vecchiaia ce lo dice una delle due figlie, Enrica. Ha scritto un libro sul padre che da piccola le faceva conoscere gli scrittori e la rese invidiata a scuola perché recitava «My Fair Lady»: il libro «Semplice, buttato via, moderno. Il “teatro per la vita” di Gianrico Tedeschi» (Edizioni Viella) identifica lo stile naturale della recitazione del padre. E confida: «Gianrico sottotenente, fu catturato in Grecia nel ’43 perché non aderì alla Repubblica di Salò e per due anni fu in campo di concentramento a Lipsia, in Germania e in Polonia insieme ad altri 650.000 ufficiali, tra cui gli amici Guareschi, Lazzati, Enzo Paci, trattati come in un lager, senza diritti. Lì iniziò a recitare proprio «Enrico IV» di Pirandello (che riprese nel 1994) esperienza che lo segnò a vita, porta magica tra realtà e finzione, perché la sua regìa era precisamente e silenziosamente contro i carcerieri. E per fortuna aveva i suoi libri, tra cui molti umoristi. Fu liberato dagli scozzesi che arrivarono in sottana con le cornamuse».
Ora? Ogni tanto chiede in che piazza si recita, il germe non si è spento, certo il palco gli manca. Gli artisti sono un po’ bambini e da vecchi ci ritornano, lui ha sempre conservato un suo pallino interiore, giocoso ma riflessivo, ha una spiritualità coltivata nel tempo, vive come se fosse uno dei suoi personaggi e il fanciullo dentro di lui ha ripreso forza. È sempre stato un uomo di misura, silenzioso, alla sera s’accendeva sul palco». Tedeschi ha avuto 70 anni di una carriera lunga, felice, a due velocità, su due binari che si incontrano spesso, comico e tragico: ultimi spettacoli sono stati «La compagnia degli uomini» con Luca Ronconi al Piccolo, «Farà giorno»diretto da Maccarinelli (si può vederlo il 18 aprile alle 21.15 su Rai5) e «Dipartita finale» con Branciaroli e altri seniores al Parenti, sua ultima casa. Ha recitato con tutti i grandi, da Visconti a Strehler e a tutti si sente oggi debitore.
Ha detto: «Ho sempre avuto un rispetto profondo per i compagni di lavoro mi hanno insegnato tutti qualcosa, la Magnani, Mastroianni, tutti. Non bisogna prendersi sul serio. L’inizio in prigionia mi ha dato il senso della comunità e l’idea che il teatro parli della società criticandola, mostrando il marcio con ironia, con la fiducia che si può cambiare, c’è sempre una via di riscatto. Ricordate Eduardo: Niente fa ridere come il tragico». E Tedeschi ha seguito quella strada, ha fatto Arlecchino e Peachum nell’«Opera da tre soldi», il cabaret intelligente di Ionesco con la Vitti, Thomas Bernhard col «Riformatore del mondo» («ma io non sono così negativo»), l’amato iniziatico Pirandello, il Ruzante e la commedia musicale, accanto a Tognazzi, Rascel, Delia Scala, Carotenuto.
«Poi nel 2005 — dice la figlia — sentì il bisogno di raccontare la sua vita, a volte anche bersagliato dai fascisti, in “Smemorando”, ma ogni sera quando parlava della prigionia si commuoveva. Parola dei tecnici». La prof. Tedeschi, che insegnava sociologia a Roma, ricorda il passato, i gargarismi di papà sempre con grandi sciarpe per proteggere la gola e si rivede bambina col letto pieno dei libri che Gianrico le portava anche per sorridere, Shaw e Jerome, Mark Twain e Woodhouse. «Lui ha iniziato come maestro a scuola, ha fatto le magistrali prima di pedagogia alla Cattolica e anni fa gli ex allievi di una scuola gli hanno portato come ricordo i registri. Quando ha smesso di recitare si è chiuso in se stesso con la levità e la leggerezza di un fanciullo che non gioca più, capisce ma osserva distaccato e rimpiange la comunità del teatro non la gratificazione personale, non è mai stato primattore e infatti i giovani da sempre lo adorano».
Fonte www.corriere.it