Dal profilo Facebook di Ruggero Barbetti condividiamo questo bellissimo post del Dott. Randelli
L’IMMERSIONE in un reparto “COVID”
Si, è come una immersione.
C’è un Divemaster (la tua guida), un briefing, una vestizione (accurata, mi raccomando, per quanto possibile, certamente!), un “appena prima di tuffarsi” (quando un pochino, per una frazione di secondo, ti si ferma il respiro), un tuffo che qui è una porta di metallo con oblò (anche per questo mi è venuta in mente una immersione). Un oblò che si apre con fatica. Pesante. E sei dentro. La luce cambia. I rumori cambiano. La temperatura cambia. Un altro mondo.
Il respiro in una normale immersione è tutto. Anche in questa. Anzi di più. Qui è il confine.
Non solo il tuo di respiro, affaticato perché un dispositivo tenta di allontanarti dall’aria circostante, ma, soprattutto, quello degli altri, i Pazienti. Chi l’immersione l’ha iniziata da tempo e non è ancora riemerso. Esseri Umani. Persone, vecchi, giovani, nonni, mamme, nonne, papà, fratelli, sorelle, figli. Di tutti i tipi. Di tutte le razze. Uniti. Tutti lontani dai loro cari e dalle loro vite. Sono a diverse profondità, più o meno vicini al fondo.
Ma una volta toccato, dal fondo si risale con grandissima difficoltà. Anzi più spesso non si risale.
Dobbiamo cercare di tenerli lontani dal fondo. Il nostro scopo. Tenerli abbastanza lontani dal fondo finché una corrente benefica, salvifica non li faccia risalire. Da soli.
Non c’è profondimetro in queste immersioni. C’è il saturimetro. Molto più importante qui. Il profondimetro sei tu, o meglio, il divemaster, il medico responsabile del reparto COVID. Non un ortopedico traumatologo come me, grazie al cielo. Nel mio nuovo reparto, 4°B del Policlinico San
Donato, il divemaster è una bella ragazza, direi Signora, poco più giovane di me, pneumologa con grande esperienza anche nei pazienti cardiopatici. Si chiama Federica, Federica Poli.
La conosco da più di vent’anni. Abbiamo iniziato insieme, giovanissimi, a fare le guardie al San Raffaele, da Specializzandi. Io in Ortopedia chiaramente. Lei già sui pazienti peggiori. E’ sposata con un Chirurgo
d’Urgenza, tosto come Lei, con cui ho lavorato in Pronto Soccorso qualche anno dopo, a San Donato.
Federica ha tutte le doti necessarie ad un divemaster. Sa di cosa si tratta, sa come devono girare le cose. Sa essere molto umana con i Pazienti. Li chiama per nome. C’è sempre. Sa farsi valere quando è necessario. Mi piace. La seguo volentieri. Non sono più il capo di un reparto di Ortopedia e
Traumatologia. Ora sono un giovane specializzando al primo anno di pneumologia. Non è male come sensazione. Una delle poche sensazioni piacevoli di questa immersione.
A San Donato oggi ci sono almeno 5 siti di immersione escludendo le Terapie Intensive. L’Ospedale è quasi esclusivamente dedicato ai COVID.
Torniamo all’immersione. Il saturimetro.
Io odio il saturimetro. Primo, non ti puoi fidare completamente. Salvo che per i valori che non vorresti mai leggere, quelli bassi, vicino al fondo. Misura la saturazione di ossigeno dell’emoglobina presente nel sangue arterioso periferico. Però non in modo immediato. Ti lascia quei secondi di attesa, malvagia attesa, prima del responso. Poi, talvolta, si modifica durante la lettura. Ti illude. Però c’è, per fortuna, ed è l’unico strumento che in pochi secondi può darti un’idea di come sta
andando l’immersione del Paziente. I Pazienti fanno l’immersione con Ossigeno. Quelli in Aria sono quelli che stanno emergendo prossimi alla dimissione.
L’Ossigeno è un mondo a sé. Probabilmente oggi l’unica vera arma nelle nostre mani. Permette agli organismi umani di superare la tempesta virale e, soprattutto, l’eccessiva risposta immunitaria, spesso causa degli stadi peggiori della malattia. Il resto conta meno.
L’erogazione dell’Ossigeno si misura in Litri al minuto con un “flussometro” che ricorda i vecchi termometri da parete, in grande però. Ma non solo. L’Ossigeno nel sangue si misura in mmHg (millimetri di Mercurio) o kPa (kilopascal) che definiscono la sua pressione parziale nel sangue. Più c’è né meglio è. Poi c’è la percentuale di saturazione definita dal saturimetro. infine c’è anche la percentuale di Ossigeno che respirano i Pazienti dentro i loro apparecchi di ausilio alla respirazione. Insomma è un po’ complicato. Ho studiato. Grazie Federica.
Come ogni immersione ci sono le maschere. Vari tipi come nelle immersioni vere. Si parte dai modelli più semplici a quelli più complessi fino al tubo endotracheale. Che però in questa
immersione non si vede.
Terapia Intensiva. Un altro mondo. Oltre il confine. Pochi ci vanno. Una immersione in cui si viene scelti. Non decidi tu. Non decide il Paziente. Il divemaster suggerisce.
Arriva “l’Angelo”, ossia l’Anestesista, e compie una delle scelte più dure. Un grande peso. Li capisco. Una scelta molto ponderata. Sono uomini e donne molto preparati. Danno tutto. Li ammiro.
I più fortunati dei Pazienti Divers hanno dei piccoli tubicini che girano intorno al capo e insufflano Ossigeno nel naso attraverso due piccole cannule. Si chiamano occhialini. Ma non sono occhialini. Qui l’Ossigeno non può superare un certo flusso. Poi diventa ingestibile per il Paziente.
Poi c’è la Maschera di Venturi, più sofisticata. Più potente nell’erogare Ossigeno. Serve per immersioni più profonde. Permette di sapere molto meglio quanto Ossigeno viene inspirato, non semplicemente somministrato, al paziente. Si parla infatti di FiO2 (Frazione Inspirata di Ossigeno).
La Venturi è una maschera come dice la parola. Copre buona parte del volto. Ha diversi gradi di “potenza”, attraverso dei connettori con codice colore diverso, ma arriva al massimo al 60% di Ossigeno. L’aria ambiente, per intenderci, ne ha il 20–21%. La Venturi serve se ti trovi a profondità medie.
Un po’ più giù serve la maschera con reservoir. Una maschera con un sacchettino davanti. Si riempie di Ossigeno il sacchettino. Qui si arriva al 90% di ossigeno, ottimo! Ma, come per tutte le maschere, deve essere ben adesa. Siamo già profondi. I flussi di Ossigeno sono alti. Se si è ancora più in profondità c’è bisogno che l’Ossigeno entri a pressione nei polmoni. La pressione qui si misura in centimetri d’acqua (cmH20). Inoltre ci vuole una pressione che permanga
a fine espirazione per aumentare la funzione degli alveoli. Le cose si complicano. Ma siamo quasi sul fondo. Siamo già nella ventilazione meccanica assistita anche se non invasiva.
E’ la profondità della C‑PAP (Continuous Positive Airway Pressure). C’è bisogno di mascherine particolari tenute ben adese al volto del paziente con apposite cinghie elastiche. Oppure caschi. Come quelli dei palombari (l’immersione) ma, per fortuna, sono trasparenti. C’è rumore. Alcuni si agitano. Normale. Da fastidio. Ma bisogna stare calmi. Quel rumore ti salva la vita. Non è il momento dei capricci. E’ il momento di lottare. Il fondo è li. Puoi toccarlo. Ma non devi.
La mia ultima immersione. Ieri.
Sono appena entrato. L’infermiera mi chiama. Urgente. Corro, per quanto possibile. Sono vestito da immersione. Scivolo ma non cado. Fitta immane alla colonna. Ma ho il bustino semirigido. Sopporto. Arrivo in un attimo. Entro.
La prima cosa, una frazione di secondo, entrando, gli occhi del paziente. Hanno paura. Ma non è il paziente per cui hanno chiamato. E’ il suo compagno di stanza.
Il Paziente, l’urgenza, è sul primo letto. E’ sul fondo. Si cerca di risollevarlo con due, quattro, sei, otto mani. Non c’è niente da fare. Era già molto vicino il giorno prima ma ora l’ha toccato. E’ anziano. In ottima salute però, certo prima. Aveva il casco. Non è bastato. PaO2 pessima già da ieri. Guardo
il volto. Non vedo segni di sofferenza e questo chissà perché un pochino mi solleva. Un bell’uomo.
Dorme. Non si sveglierà.
Avviso con il walkie talkie il mondo esterno dell’accaduto. Avvisate la Famiglia. Non potranno vederlo. Lo so.
Dovrà rimanere in reparto almeno due ore. Mai legge fu più insensata. Penso. Lasciare un Uomo morto davanti a chi, al suo fianco, lotta contro la morte non è umano. Chiedo almeno di spostarlo lontano dagli occhi impauriti di chi gli è accanto. Si può. O forse no. Non mi interessa.
Brutta Giornata. Brutta Immersione. E ho appena iniziato.
Iniziamo il giro dei Pazienti. Ad uno ad uno. Cerco di scherzare il più possibile. Frasi un po’ stupide…”Signora Paola, rischia di guarire!”. “Signor Francesco, qual’è il dito fortunato (n.d.r. dove mettere il saturimetro)?”. Le dico solo a chi penso potrà farcela. La maggior parte, per fortuna. A chi credo invece sia più vicino al fondo mi mostro ottimista ma non scherzo. Gli tengo la mano. E misuro…. Comunico i valori all’esterno con il walkie talkie. Gracchia un po’.
Buone notizie. C’è chi è in decompressione, quasi all’uscita. Emersione? A loro misuro la saturazione prima e dopo la sospensione dell’Ossigeno e…… 3 su 4 mantengono valori nelle norma 98–99-100%. Evvai!
Poi c’è la Signora MF, ha 92 anni. Demenza senile. Parla solo in dialetto. Sono l’unico che capisce qualcosa. La Poli non c’è ancora perché ha iniziato il giro nell’altra ala del reparto, altro oblò. l’altro Medico con me, una Cardiologa, è Campana. Gli Infermieri, pilastri di questa immersione, persone speciali, sono, diciamo, di fuori Milano. La Signora è simpaticissima. Anche se si lamenta in continuazione. Vuole andare a casa. Parla per espressioni tipiche lombarde. “Damm a trà giuinott”
(Dammi retta giovanotto) e giù una serie di frasi sulla necessità assoluta di andare a casa. A quel punto cerco di farla ragionare… “Signora Mia! Ha ancora la polmonite e deve rimanere qualche giorno qui etc. etc.. Ma Lei …. “Va su…. adess la predica” (Ecco…adesso la solita predica) e io non
posso non ridere. Però sta bene. Un’altra vittoria. Sembra. Uscirà presto. Certo dovrebbe parlare un po’ meno. Quando parla le scende la saturazione. C’è chi è stato male durante l’immersione notturna. La notte prima. Non per il respiro. Alcuni si abituano alla mancanza di aria. Per il vomito o per l’enterite che non di rado accompagna queste immersioni virali. Ma ora sta meglio. Toglie il casco solo per mangiare. Ha gli occhialini però.
Un’altra signora è in ansia. Non sopporta la C‑pap. La capsico. Non va malissimo ma neanche bene. Le do da bere. Cannuccia. Le sto vicino un po’. La rassicuro. L’ansia è una brutta bestia. La conosco. Predispongo un calmante ma non troppo e solo di un certo tipo. Sono farmaci pericolosi.. sul respiro. Sta meglio. Speriamo.
Vedo l’ultimo paziente. Di Palermo. Riconosco subito l’accento. Lui sorride. Ex piastrellista. In pensione. Simpatico. Ma non va bene. Satura poco. Salto di profondità. Si passa dalla maschera di Venturi a maschera con reservoir. Faccio un prelievo arterioso per una emogasanalisi (massima
attendibilità e più informazioni del saturimetro). Esame doloroso. Le arterie sono ben innervate. Dal polso. Lui non fa una piega. Cerco di essere il più veloce possibile ma senza mancare il bersaglio. Non è semplice.
Esce sangue scuro (di solito venoso) ma a pressione (arterioso). Viene dall’arteria. Non un buon segno quel maledetto colore. Io odio il viola, lo sanno tutti i miei collaboratori ed ora lo odieranno pure loro. Arrivano i risultati della PaO2 (pressione dell’ossigeno nel sangue), 68 (valori
normali 80–100). Peggio… il rapporto tra PaO2/FiO2 è solo 90. Indica quanto gli alveoli sono ossigenati e inglobano l’anelato elemento. In un paziente sano il valore si attesta su 450.
Lui 90. Eppure parla tranquillo. Il respiro però è veloce. Tachipnea. Attendo la Poli. Mi sembra da C‑PAP.
Abbiamo finito il giro. Anzi no. Arriva Federica Poli. Rifacciamo tutto il giro, più velocemente, con Lei. Subito decide per il piastrellista quasi sul fondo: C‑Pap. Si comunica con l’anestesista. Migliora ma non troppo. Speriamo. Vicino, molto vicino al fondo. Non lo sa, meglio così. Penso. E poi magari
risale!
Il giro finisce. Sono le 13.30. Mi svesto. Massima attenzione. E’ il momento in cui è più facile contaminarsi. C’è un rituale preciso. Come in una vera immersione. Solo che qui in ballo c’è la tua salute e non solo. Amo la mia famiglia e non vorrei essere proprio io la causa di una loro malattia.
Si, sono isolato in casa. Ma è un attimo. La distrazione spesso ci salva dai pensieri peggiori ma in certi casi è deleteria e mortale. Speriamo.
Sono svestito. Si fa un breve debriefing. Chiedo al Caposala Gianni se sia possibile spostare subito i cadaveri dalle loro stanze per non incidere emotivamente sui vicini. Mi dice della legge delle 2 ore. La odia anche Lui. Trova una soluzione. E’ un Uomo. Un duro. Ne ha vissute tante come caposala
della Cardiochirurgia di San Donato. Ma è un Uomo buono.
Vado a visitare un giovane Libico. Il giovane Specializzando, di Ortopedia, Dottor Mazzoleni è già li. Anche Lui era in immersione ma nell’altra ala del reparto. Hanno finito prima. La Poli era con loro. Il giovane Libico si è rotto un dito, ormai da tempo, senza accorgersi. Ha una lesione neurologica in
esiti di un trauma da guerra che lo tiene su una sedia a rotelle. E non gli fa sentire dolore. Incredibile a dirsi ma…lo ritengo fortunato. Non è in immersione.
Tutto è relativo. Domani è un altro giorno.
Altre immersioni. Altri fondali. Che spero nessuno debba raggiungere. Si vede molto meglio da più in alto.
Domani tutti i Medici e tutti gli Infermieri di San Donato saranno lì, al loro posto. Anche se molti potrebbero essere altrove a proteggersi. Pochissime unità lo hanno fatto, giusto qualche Medico “fragile” di salute e qualche Lanzichenecco, inutile prima ed inutile ora. La stragrandissima maggioranza è presente. Alcuni più spaventati di altri. Medici di tutte le specialità, compresi noi Ortopedici o meglio Ortopeumologi. Giovani e meno giovani. Uniti.
Tornati Uomini alcuni. Tornati Medici altri.
Tutti pronti per la prossima immersione.
Ad Maiora
Prof. a.c. Filippo Randelli
Hip and Trauma Department
I.R.C.C.S. Policlinico San Donato – University of Milan